7 agosto 2021, 21:30
@ Piazza Maggiore e LunettArena

Priscilla, la regina del deserto

(The Adventures of Priscilla, Queen of the Desert, Australia/1994) di Stephan Elliott (103')

Regia, soggetto e sceneggiatura: Stephan Elliott. Fotografia: Brian J. Breheny. Montaggio: Sue Blainey. Scenografia: Owen Paterson. Musica: Guy Gross. Interpreti: Terence Stamp (Bernadette Bassenger), Hugo Weaving (Anthony ‘Tick’ Belrose / Mitzi Del Bra), Guy Pearce (Adam Whitely / Felicia Jollygoodfellow), Bill Hunter (Bob), Rebel Russell (Logowoman). Produzione: Al Clark e Michael Hamlyn per Latent Image Productions, Specific Films. Durata: 103′

Copia proveniente da Park Circus

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I road movie di solito si basano su vicende di gente ordinaria in missione attraverso una serie di interazioni bizzarre con una varietà di esseri umani folli incontrati lungo la via. Questa volta, sono i folli in missione a essere trascinati in un labirinto di persone ordinarie e le interazioni in questo modo risultano ancora più stranianti. I tre protagonisti sono ispirati a fatti reali. I dialoghi e le situazioni non sono in alcun modo limitati. Metà del divertimento sta nel catturare le reazioni reali che la gente ha di fronte a tre drag queen decisamente fuori posto. Il film alla fine sarà un docudrama fortemente stilizzato, simile ai film che ho girato con Bill Bennett. La struttura è sicura. Il soggetto, no.

Stephan Elliott

Il cinema australiano degli anni Novanta era in qualche modo ossessionato dal tentativo di estendere la rappresentazione della società australiana, di ridefinire il ‘chi siamo’. Gli stereotipi mascolini degli anni Settanta e Ottanta erano in particolare il bersaglio di film come Gara di ballo (1992), Le nozze di Muriel, Tutto ciò che siamo e Priscilla, la regina del deserto. Questi ultimi tre film sono usciti nel 1994 e anche se Le nozze di Muriel di per sé non ha personaggi gay, si allinea sull’estetica camp inaugurata da Gara di ballo.
Priscilla, la regina del deserto si è spinto oltre tutti i suoi predecessori nell’attaccare la mitologia del maschio eterosessuale dell’outback sostanzialmente innocuo, alla Mr. Crocodile Dundee. Questa stessa tipologia di uomo, che di solito in Priscilla popola i bar, può essere sospettoso, violento, volgare ed estremamente intollerante, soprattutto se posto di fronte a definizioni alternative di mascolinità. Il colpo di genio del film è stato di imporre un’estetica di estrema artificialità (le drag queen) in un paesaggio desertico naturale ma ugualmente estremo. Fu sorprendente per il pubblico scoprire quanto questi due elementi si sposassero bene insieme.
Il film è pensato per essere una rinascita del musical e una commedia on the road, ma le sue scene più indimenticabili si basano sull’incongruenza che nasce dal vedere costumi eccessivi addosso a personaggi fuori posto in spazi brulli e sconfinati. È per questo che il vero climax del film non è il debutto al casino, ma la scalata in full drag di Kings Canyon. Ed è sempre per questo che la reazione più accogliente ricevuta durante il tour viene da un gruppo di aborigeni che dà una festa intorno a un falò. Il film insiste sulla naturalezza dei suoi personaggi, in contratto con la loro apparenza ‘innaturale’, anche più che sull’idea ovvia che si tratta dell’unione di due gruppi accomunati dallo stesso oppressore. […] Il film ebbe un fenomenale successo in tutto il mondo e soprattutto in Australia. I costumi, disegnati da Lizzy Gardiner e Tim Chappel, vinsero un Oscar.

Paul Byrnes


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