
7 settembre 2025, 21:30
@ Arena Puccini - Parco DLF
Here
(USA/2024) di Robert Zemeckis (104')
Here
(USA/2024) di Robert Zemeckis (104')
Con: Tom Hanks e Robin Wright
Un singolo appezzamento di terra nel corso della storia, dall’epoca dei dinosauri passando per l’insediamento dei nativi americani, i coloni e una serie di diverse famiglie che proprio in quel piccolo spazio hanno vissuto, in particolare quella dei giovani e innamorati Richard e Margaret Young.
“La pur diseguale narrazione, così disgregata all’interno del film, segue una trama principale – quella della ultra- decennale storia d’amore tra Richard e Margaret, vale a dire Tom Hanks e Robin Wright, che tornano a lavorare insieme in un film di Zemeckis a trent’anni di distanza da Forrest Gump – cui si sommano altre microstorie, quasi tutte concentrate sul concetto di «famiglia» [...]. Alla stessa stregua del disegno di McGuire, anche Zemeckis fa irrompere all’interno dell’inquadratura altre micro-inquadrature che spaziano nel tempo rimanendo ancorate allo spazio, ma ovviamente l’effetto produce un senso compiutamente diverso, perché quello che nel lavoro di inchiostro e china si tramuta in «semplice» ricollocazione dello sguardo del lettore, nel film va da un lato a ridefinire il senso del montaggio, producendolo internamente alla medesima inquadratura, ma dall’altro a confrontarsi anche in maniera dichiarata con lo scroll da social network, il reel, l’immagine-desktop. Ecco dunque che un lavoro sull’immutabilità dello spazio nel tempo, e quindi sulla necessità di operare attraverso il punto di vista, come unica variabile umana all’ineluttabilità della decadenza e della dimenticanza, si articola anche in direzione dell’odierno, della sua neo-grammatica. Il tutto senza dimenticare l’afflato sentimentale che è da sempre uno dei tratti connotativi del cinema zemeckisiano: il tanto discusso «de-aging» che fa sì che lo spettatore possa imbattersi in Hanks e Wright credibilmente ventenni, trentenni, quarantenni, non è lì a uso e consumo di una potenzialità tecnologico-produttiva (che è invece l’ideologia muskiana della tecnocrazia e del suo senso). Alla stessa stregua dell’utilizzo che ne faceva Martin Scorsese in The Irishman – altro film stolidamente osteggiato da una non indifferente moltitudine critica – quell’effetto post-produttivo serve a ribadire la fragilità del tempo, la sua inevitabile disgregazione, che è riprodotta nel montaggio e nella sovrapposizione – un’estetica frantumata, crepata, quasi angosciosa nella sua impossibilità a tramutarsi in organo lineare del Tempo – ma che è anche la disintegrazione della memoria, che è dell’umano come del cinema. Come si è già accennato Zemeckis è il cantore supremo del tempo e della necessità di reinserirlo nella memoria/vita umana: lo è dai tempi di Back to the Future, ovviamente, ma poi in Forrest Gump, Contact, La morte ti fa bella, e via discorrendo. Here contiene la summa di quella riflessione e ne porta la discussione estetica a livelli non così lontani dalla sperimentazione, del tutto inadeguati a Hollywood e al suo contesto. Il desiderio dei personaggi di Here non è quello di vivere nel tempo, ma di bloccarlo, farlo assurgere a totem. È il desiderio dell’immortalità, ma non della vita in quanto tale, ma della memoria, e dunque del sentimento, e quindi in ultima istanza dell’arte, che altro non è che vita nel sentimento.”
Raffaele Meale, Quinlan.it
“La pur diseguale narrazione, così disgregata all’interno del film, segue una trama principale – quella della ultra- decennale storia d’amore tra Richard e Margaret, vale a dire Tom Hanks e Robin Wright, che tornano a lavorare insieme in un film di Zemeckis a trent’anni di distanza da Forrest Gump – cui si sommano altre microstorie, quasi tutte concentrate sul concetto di «famiglia» [...]. Alla stessa stregua del disegno di McGuire, anche Zemeckis fa irrompere all’interno dell’inquadratura altre micro-inquadrature che spaziano nel tempo rimanendo ancorate allo spazio, ma ovviamente l’effetto produce un senso compiutamente diverso, perché quello che nel lavoro di inchiostro e china si tramuta in «semplice» ricollocazione dello sguardo del lettore, nel film va da un lato a ridefinire il senso del montaggio, producendolo internamente alla medesima inquadratura, ma dall’altro a confrontarsi anche in maniera dichiarata con lo scroll da social network, il reel, l’immagine-desktop. Ecco dunque che un lavoro sull’immutabilità dello spazio nel tempo, e quindi sulla necessità di operare attraverso il punto di vista, come unica variabile umana all’ineluttabilità della decadenza e della dimenticanza, si articola anche in direzione dell’odierno, della sua neo-grammatica. Il tutto senza dimenticare l’afflato sentimentale che è da sempre uno dei tratti connotativi del cinema zemeckisiano: il tanto discusso «de-aging» che fa sì che lo spettatore possa imbattersi in Hanks e Wright credibilmente ventenni, trentenni, quarantenni, non è lì a uso e consumo di una potenzialità tecnologico-produttiva (che è invece l’ideologia muskiana della tecnocrazia e del suo senso). Alla stessa stregua dell’utilizzo che ne faceva Martin Scorsese in The Irishman – altro film stolidamente osteggiato da una non indifferente moltitudine critica – quell’effetto post-produttivo serve a ribadire la fragilità del tempo, la sua inevitabile disgregazione, che è riprodotta nel montaggio e nella sovrapposizione – un’estetica frantumata, crepata, quasi angosciosa nella sua impossibilità a tramutarsi in organo lineare del Tempo – ma che è anche la disintegrazione della memoria, che è dell’umano come del cinema. Come si è già accennato Zemeckis è il cantore supremo del tempo e della necessità di reinserirlo nella memoria/vita umana: lo è dai tempi di Back to the Future, ovviamente, ma poi in Forrest Gump, Contact, La morte ti fa bella, e via discorrendo. Here contiene la summa di quella riflessione e ne porta la discussione estetica a livelli non così lontani dalla sperimentazione, del tutto inadeguati a Hollywood e al suo contesto. Il desiderio dei personaggi di Here non è quello di vivere nel tempo, ma di bloccarlo, farlo assurgere a totem. È il desiderio dell’immortalità, ma non della vita in quanto tale, ma della memoria, e dunque del sentimento, e quindi in ultima istanza dell’arte, che altro non è che vita nel sentimento.”
Raffaele Meale, Quinlan.it
Versione con doppiaggio italiano