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E' la volta della Spagna ai Teatri di Vita

Bologna Estate racconta #12 - Intervista a Stefano Casi

“Quest’anno la Spagna si presenta come un Paese in una fase politicamente e storicamente delicata. L’avanzata della destra nelle elezioni amministrative, le elezioni politiche dall’esito così fragile, la questione dell’indipendentismo catalano... insomma, ce n’è abbastanza per averci portato a puntare l’attenzione sulla Spagna” racconta Stefano Casi, direttore artistico di Teatri di Vita.

Questo teatro di Bologna, all’interno del Parco dei Pini in zona Borgo Panigale, vede il suo consolidato festival internazionale monografico di cinema, danza contemporanea, musica e incontri Cuore di…giungere alla sua 18a edizione. E quest’anno rivolge il suo sguardo al Paese iberico. Partendo da una riflessione sociopolitica legata all’attualità e che vede nella Spagna un importante protagonista della scena europea del momento, il festival offre una serie di spettacoli che porteranno il pubblico non solo a immergersi nella sua storia e cultura, ma anche a divertirsi e sorprendersi. Da un immancabile Pedro Almodovar che apre il festival in anteprima al duo musicale fuori dagli schemi Hidrogenesse, passando per il documentario “El sostre groc / The yellow ceiling” che racconta una sconcertante storia venuta recentemente alla luce, lo spettacolo di danza “documentaria” Gochos su un fatto agghiacciante legato al periodo franchista e tanto altro, Cuore di Spagna (dal 16 al 27 agosto) incontra il cuore di tutti.



Lei è il direttore artistico di Teatri di Vita e Andrea Adriatico ne è il fondatore e direttore artistico produzioni. E siete entrambi giornalisti. Come avete intrecciato il giornalismo con il teatro?

 

In fin dei conti il giornalismo e il teatro sono modi di osservare e raccontare la realtà. Questo non significa naturalmente che uno spettacolo debba necessariamente essere informativo (come pure ci dimostrano alcune tendenze, per esempio il teatro civile), ma che ci può essere un modo di confrontarsi con il teatro che tenga presente la sua collocazione nella storia e nella società. Diciamo che forse il nostro approccio giornalistico si può ritrovare nell’impostazione di alcune rassegne e stagioni, che cercano sempre la “presa diretta” con ciò che avviene in Italia e nel mondo, inserendo il programma di spettacoli all’interno di una cornice che dà una chiave interpretativa sull’attualità.



Da una parte teatro e danza contemporanei dall’altra riflessioni sociopolitiche, il festival Cuore di… è un viaggio itinerante nel mondo. Ogni anno portate in Italia uno sguardo culturale, artistico e politico su un diverso Paese. Come e perché nasce Cuore di…?

 

Cuore di... rientra proprio in questa idea giornalistica di teatro di reportage: un viaggio in un Paese straniero, che il suo teatro e il suo cinema ci raccontano in modo diverso. Tutto è iniziato con la Cina, nel 2005: c’era la curiosità di raccontare qualcosa che andasse al di là degli stereotipi, e ci siamo riusciti con tre potenti lavori di danza contemporanea, portando per la prima volta in Italia Jin Xing, la coreografa transgender che era stata un ex colonnello dell'esercito, e con una rassegna di cinema degli ultimi anni. Poi, nel 2012, Cuore di... è entrato in una nuova fase con la Grecia, che quell’anno era nelle prime pagine per la drammatica crisi economica: anche lì l’idea era raccontare un Paese appiattito nelle prime pagine da una visione affrettata, per mostrarne le complessità attraverso non solo l’arte, ma anche incontri e approfondimenti. E da lì abbiamo continuato con Paesi come la Palestina, l’Iran, l’Inghilterra nell'anno della Brexit, e così via.



Quest’anno il Cuore incontra la Spagna, paese molto vicino all’Italia, non solo dal punto di vista geografico. Perché è importante raccontare la Spagna in questo momento? 

 

Quest’anno la Spagna si presenta come un Paese in una fase politicamente e storicamente delicata. L’avanzata della destra nelle elezioni amministrative, le elezioni politiche dall’esito così fragile, la questione dell’indipendentismo catalano... insomma, ce n’è abbastanza per averci portato a puntare l’attenzione sulla Spagna. Naturalmente Cuore di Spagna non è un festival ‘politico' in senso stretto, quindi racconteremo la Spagna soprattutto attraverso lo spettacolo dal vivo e il cinema, e in fin dei conti il festival sarà soprattutto un’occasione per emozionarsi, divertirsi, conoscere... ma la base da cui muove tutto è proprio la curiosità verso una nazione che sta attraversando un momento delicato e complesso, che forse in Italia non si è compreso bene.



Per anni c’è stato un confronto tra Italia e Spagna da cui il nostro Paese ne usciva in qualche modo vincitore. Oggi non è più così. La Spagna sembra averci sorpassato?

 

Diciamo che il confronto tra Spagna e Italia è stato sempre altalenante. A un certo punto la Spagna ci aveva anche sorpassato per quel che riguardava per esempio i diritti civili. Due Paesi così simili per certi versi, dal retaggio culturale cattolico alla dittatura, che però hanno sviluppato percorsi di maturazione diversi. In questo senso la Spagna rappresenta al tempo stesso un altrove esotico e uno specchio. E quindi a maggior ragione è importante un confronto, considerando la parallela affermazione politica della destra e altre emergenze, a cominciare dal confronto con la memoria del fascismo.



Oltre al fatto che sono stati appena restaurati, ci sono altre motivazioni per cui avete scelto 5 film appartenenti ai primi dieci anni di attività del regista spagnolo Pedro Almodovar per aprire il festival?

 

Il festival Cuore di... è sempre un confronto tra il contemporaneo, che è la parte principale del programma, e ciò che ci aspettiamo. Per la Spagna è inevitabile pensare ad Almodóvar, che peraltro è un regista che amo molto e che ha saputo offrire sguardi e interpretazioni originali e stimolanti della sua terra e della sua cultura. E allora, abbiamo colto la palla al balzo: CG Entertainment ha restaurato 5 film della prima fase del regista, facendoli uscire in queste settimane col titolo “Almodóvar la forma del desiderio”, in occasione del 40esimo anniversario del primo successo. Quindi, perché non dedicargli l’anteprima del festival? Così, dal 16 al 20 agosto, subito prima del festival (che sarà dal 21 al 27) proietteremo i 5 film restaurati, in anteprima regionale.



“Erano film che non riconoscevano neanche l’ombra di Francisco Franco, era il mio modo di vendicarmi…” dice Pedro Almodovar, icona del cinema spagnolo, riguardo ai suoi primi lavori. E ancora: “La memoria storica è una questione aperta in Spagna, il paese ha un dovere morale con le famiglie dei desaparecidos, quelli che sono stati interrati nelle fosse. Non possiamo chiudere la nostra storia recente senza affrontare questo tema”. La sua presa di posizione contro il franchismo è netta e sotto gli occhi di tutti. Basta affrontare il passato affinché non si ripeta? Noi in Italia l’abbiamo fatto?

 

Ecco, il confronto con la memoria è uno dei punti nevralgici, che interessa la Spagna e interessa anche l’Italia, e per questo ci è sembrato doveroso metterlo al centro del festival. Ci saranno diverse occasioni, come per esempio il film “Intemperie”, ma qui vorrei soffermarmi su uno spettacolo che ospiteremo, davvero illuminante, “Gochos”. Si tratta di uno spettacolo di danza “documentaria”, in cui David Blanco e Sergio Toyos raccontano una storia agghiacciante. Nel 1937 i franchisti gettarono in una fossa comune decine di antifranchisti trucidati. Negli anni 50 su quella fossa fu costruito un allevamento di maiali per impedire che i familiari recuperassero i morti. Ebbene, tre anni fa è iniziata la riesumazione, ma è stata scandalosamente bloccata dai ricorsi per impedirla, e solo da pochi mesi è ripresa, consentendo fino ad ora di recuperare una ventina di corpi. Ecco, mi sembra una storia pazzesca che merita di essere raccontata, e per farlo è notevole che si sia scelto il linguaggio della danza, che mescola il contemporaneo con i balli tradizionali delle Asturie, e anche il linguaggio dei segni, incomprensibile alla quasi totalità del pubblico, come un messaggio di trasmissione della memoria che ci arriva misterioso ma che dobbiamo sforzarci di decodificare.



Pedro Almodovar, dichiaratamente omosessuale e ateo, è stato accusato da alcuni giornali di aver mostrato una Spagna stereotipata fatta di omosessuali, transessuali e isteriche. Cosa non vedono o non vogliono vedere i suoi detrattori?

 

La realtà. E la fantasia al tempo stesso. Cioè il diritto dell’artista di raccontare ciò che vede, e di reinventarlo se lo crede, senza essere legato e costretto dal politicamente corretto o dal politicamente conveniente o dal politicamente allineato. Mi sembra che, anche da questo punto di vista, la questione sulla libertà dell’artista sia determinante, e che riguardi anche l’Italia.



Gli altri appuntamenti cinematografici prevedono una ventina di cortometraggi e 7 film realizzati tra il 2019 e il 2023, tutti vincitori di premi importanti. Vuole darci una panoramica?

 

Inizierei dal titolo più significativo, un documentario che presenteremo in anteprima italiana, diretto da Isabel Coixet, regista di film importanti come “Lezioni d’amore” con Penelope Cruz, Ben Kingsley e Dennis Hopper. Si intitola “El sostre groc / The yellow ceiling”, e rievoca una storia di abusi sessuali su ragazze adolescenti all’interno di una scuola di teatro spagnolo: un caso clamoroso che venne alla luce pochissimo tempo fa, dopo la campagna mondiale di #metoo, e che però ebbe come esito il nulla di fatto a causa della prescrizione del reato. Oltre al racconto del fatto in sé, è importante per comprendere il clima sessista che precede la violenza stessa, e che pone molte riflessioni anche per il pubblico italiano. Poi abbiamo quattro sguardi suggestivi e stimolanti sui nostri tempi: “La voluntaria” di Nely Reguera, dedicato alle ambiguità neocolonialiste di un certo approccio alla solidarietà per i migranti (e a questo tema dedicheremo anche la mostra “Silent Expect” del fotografo Mingo Venero, dedicata all’attesa dei richiedenti asilo nei centri spagnoli: immagini forti ed emozionanti); “Libertad” di Clara Roquet, che fa esplodere le differenze di classe tra adolescenti; “O que arde” di Oliver Laxe, che ci immerge nella splendida natura della Galizia offesa dai piromani; e il grottesco “Espíritu sagrado” di Chema García Ibarra, con una buffa storia di appassionati di Ufo che nascondono ben più inquietanti verità. Ma apriremo il festival con lo spettacolare ed emozionante western “Intemperie” di Benito Zambrano, che ci porta ancora in una storia di abusi su un bambino durante la guerra civile, e chiuderemo con un avvincente thriller, “70 Binladens” di Koldo Serra. In mezzo, dedicheremo un intero pomeriggio in sala (le proiezioni serali, invece, sono all’aperto) a una non-stop di oltre 3 ore con cortometraggi recentissimi, tra fiction, doc e animazione.



Fra teatro e danza, andranno in scena 5 spettacoli, tutti in prima nazionale. Tra questi Limit di Maria Andrès è un’opera di ricerca sui limiti che ci bloccano e l’incoraggiamento a superarli. Quanto è paralizzata la nostra società? Dobbiamo sempre cercare di superare i nostri limiti e paure o qualche volta ci farebbe bene semplicemente accettarli?

 

Credo che la sfida dei limiti sia connaturata nell’arte stessa, e che proprio l’arte ci sproni ad affrontarla. In questo senso, sì, “Límit” è un invito, ed è soprattutto un gioco, visto che il linguaggio scelto da Maria Andrès è quello della comicità poetica e della clownerie. Ma poi ci sono anche altre occasioni per confrontarsi con questi temi. Prima ho parlato di “Gochos”, che in qualche modo è una sfida al limite dell’amnesia storica e un invito a riappropiarci della memoria attiva. E poi c’è “Instructions On How To Fall”, un progetto notevolissimo di un duo spagnolo-lituano – A. Crespo Barba e Lukas Karvelis – a cui abbiamo offerto di lavorare in residenza artistica a Teatri di Vita nelle settimane precedenti, per presentarlo poi in prima assoluta: un lavoro di danza contemporanea che si confronta con un’altra memoria, quella della tradizione del flamenco, ma con una capacità di reinvenzione straordinaria sulla base del ritmo e delle relazioni. E ancora, due spettacoli radicalmente opposti come “Padecer la carne” di Celia Reyes, una sorta di installazione performativa tra danza, teatro fisico e arte contemporanea, e “Un momento oportuno” di Carmen Werner e della sua Provisional Danza, che torna a Teatri di Vita dopo oltre 15 anni con uno spettacolo con cinque straordinari danzatori.



Il 23 agosto alle 21 l’unico appuntamento musicale del festival è con il gruppo Hidrogenesse, composto da Carlos Ballesteros and Genís Segarra. Si definiscono un duo elettronico art-rock, compositori di canzoni pop-populiste, produttori di mantra sessuali-romantici, performer di genere mistico-comico e situazionisti che riempiono le piste da ballo. In Italia non mi viene in mente nessun gruppo che gli assomigli. Cosa dobbiamo aspettarci?

 

Chi lo sa? Scherzi a parte, gli Hidrogenesse rappresentano l’incursione folle nella musica pop-rock spagnola, un duo che non si è mai esibito in Italia, e che è perfetto per una serata di divertimento all’insegna della fantasia più sfrenata. Direi che i titoli dei loro album la dicono lunga, dal primo “Gimnàstica Passiva” all’ultimo “¿De qué se ríen los españoles?”. Insomma, Cuore di Spagna contiene le molte anime di quel popolo, e il concerto degli Hidrogenesse, dopo l’anteprima di Almodóvar, ci mostrerà quella più scanzonata ed estiva...

 

Laura Bessega, per Bologna Estate