
Bologna Estate racconta #6
Intervista a Umberto Fiorelli di Fantateatro
Il teatro per l’infanzia arriva con spettacoli itineranti nelle Case di Quartiere e porta la mitologia al Teatro Duse
Il sipario di Bologna Estate si solleva con le proposte di Fantateatro dove adulti e bambini sono coinvolti in riflessioni profonde e divertite, in un teatro che è di tutti e per tutti, per mezzo del suo linguaggio semplice, fantasioso e allo stesso tempo intenso.
Quest’anno sono due i progetti della compagnia di teatro per l’infanzia inseriti all’interno del cartellone estivo: “Storia di una formica che non camminava in fila” , uno spettacolo a ingresso libero e itinerante che ogni settimana raggiunge una Casa di quartiere diversa della città (nei mesi di giugno, luglio e settembre) e la rassegna “Un’estate… mitica!” ospitata dallo storico Teatro Duse in un viaggio alla scoperta della mitologia greca: fino al 17 luglio con lo spettacolo “Scilla e Cariddi, le guardiane dello stretto” e poi a settembre con un percorso dedicato alla danza che vede prima “Coppelia”, balletto di Léo Delibes, e a seguire “Lo Schiaccianoci” di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Abbiamo raggiunto al Teatro Duse Umberto Fiorelli, uno dei fondatori della compagnia, per farci raccontare meglio la natura di questi due progetti e la loro rilevanza nel panorama artistico, culturale e educativo.
“Storia di una formica che non camminava in fila” è un racconto che presenta temi delicati ed estremamente attuali come quello dell’accoglienza e della ricerca di libertà. In che modo avete lavorato per rendere questi contenuti accessibili alla sensibilità dei più piccoli?
Nell’affrontare temi come questi la responsabilità è grande, ed è anche per questo che il nostro organico è composto sia da professionisti dello spettacolo che da professionisti dell’educazione. Alla capacità di raccontare e intrattenere si deve sempre affiancare una conoscenza profonda della parte pedagogica, che è fondamentale per capire quali canali utilizzare per poter trattare gli argomenti che si intendono rappresentare. La storia è quella di una esploratrice che studia gli animali, e abbiamo scelto la formica perché ha di per sé caratteristiche interessanti, come la sua incredibile forza e la sua capacità organizzativa, e abbiamo scelto di utilizzare i pupazzi animati, a fianco degli attori in carne e ossa, e di costruire una messa in scena con elementi complessi, realizzati ottimamente dai nostri scenografi, come un enorme formicaio, in cui si muovono le sagome delle formiche, e una gigantesca lente di ingrandimento, che funge da portale per condurre il pubblico dentro la storia, potendola osservare da vicino.
In quale aspetto della storia, secondo lei, emerge maggiormente e in modo più visibile e concreto il tema dell’inclusione?
La formica incontra vari animali nel suo cammino, ed è guidata in primis dalla curiosità. Si stacca dalla fila perché vuole sapere com’è il mondo intorno al formicaio, esce dal sentiero guidato e pensa di testa sua, e questo la porta a fare incontri inattesi, ai quali si rapporta con autenticità e desiderio di conoscere. Le creature che incontra, un gufo, una rana e un castoro, sono capaci di fare cose per lei incredibili come volare, nuotare e costruire dighe. La formica non prova invidia o gelosia ma sincera volontà di imparare, e così i tre la aiutano e condividono con essa il loro sapere. Per poter entrare in contatto con qualcuno diverso da noi dobbiamo considerare il suo punto di vista, essere empatici, abbandonare la paura e la diffidenza. Se offriamo al prossimo il nostro lato migliore, la possibilità di essere ricambiati è alta, ed è questo che fanno sia la formica che gli altri animali.
Anche quest’anno lo spettacolo è itinerante e ospitato da diverse Case di quartiere, rinnovando così un legame importante con il territorio. Che valore ha per voi il rapporto con questi luoghi di periferia?
Diversi anni addietro, in sede di premiazione di un importante festival di teatro per l’infanzia che volutamente non cito, una delle organizzatrici, importante personaggio dal punto di vista culturale, ci disse: “il teatro è per le élite”. Lo disse con l’aria di chi condivideva una verità ovvia, incontestabile, insuperabile. Non credo ci sia pensiero più sbagliato di quello. Il teatro non è altro che un modo di raccontare storie. Si può fare a voce, tramite un libro, in uno spettacolo, con un balletto, una canzone, una pantomima, un dipinto, un film, un’installazione. Raccontare storie, ascoltare storie, è quello che ci rende membri della razza umana. È quanto di più popolare esista, ed è un vero e proprio delitto credere che la cultura debba chiudersi dentro i suoi palazzi e parlare solo a chi è già convinto o a chi può permettersela. Paolo Grassi diceva: “Noi vorremmo che autorità e giunta comunali, partiti e artisti si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno del cittadino, come un pubblico servizio alla stregua della metropolitana e dei Vigili del Fuoco.”. Questo credo sia lo spirito giusto, e le Case di quartiere spesso sono avamposti fondamentali nella capacità della cultura di raggiungere le periferie, quindi siamo noi a sentirci privilegiati nel poter calcare simili palcoscenici.
Altra grande e rinnovata protagonista del cartellone di Bologna Estate 2025 è la vostra rassegna “Un’estate… mitica!”, dedicata alla messa in scena di storie tratte dalla mitologia greca. In che modo il mondo antico può dialogare con il nostro presente?
Siamo all’ottava edizione di questa rassegna estiva; nel corso delle stagioni sia il target di pubblico che il nostro approccio a queste storie si è evoluto. Dai primi spettacoli, incentrati sui miti più conosciuti come le dodici fatiche Ercole o il pomo d’oro delle Esperidi, ci siamo diretti sulle storie delle singole divinità e poi, da due anni a questa parte, sui racconti tratti da Le Metamorfosi di Ovidio. Il pubblico è sempre più eterogeneo, non solo famiglie ma molti ragazzi giovani, adulti appassionati di mitologia, molti turisti. I miti sono rimasti con noi fin dall’antichità proprio perché parlano alla parte più radicata e profonda del nostro essere umani, quindi sono di un’attualità costante, riescono a interessare e intrattenere ogni tipo di pubblico proprio per questa caratteristica, che ha colpito anche il nostro immaginario.
Gli spettacoli della rassegna sono ospitati dallo storico Teatro Duse: come il teatro, come luogo fisico, influisce sull’esperienza e sul coinvolgimento del giovane pubblico?
Il teatro è un luogo che nella nostra realtà attuale è paradossalmente ancora più importante che in passato. Non troppi anni addietro, prima che le nostre vite diventassero sempre più digitali, riunirsi in un luogo per assistere a uno spettacolo era molto più comune e naturale. Oggi il teatro è diventato un luogo di resistenza culturale, quindi assume un significato ancora più importante. In questi spettacoli il pubblico vive un’esperienza ancora più speciale perché si può salire sul palcoscenico e assistere alle rappresentazioni rivolti verso la platea, con gli attori che recitano in proscenio verso gli spettatori, che godono di un punto di vista solitamente riservato agli artisti, e questo non emoziona solo i bambini e i ragazzi ma anche gli adulti.
Quale processo creativo sottostà all’ideazione di racconti come questi, che possono parlare tanto ai bambini quanto ai giovani e agli adulti?
Abbiamo oltre centoventi titoli in repertorio e tutte le nostre produzioni cercano di rivolgersi tanto ai bambini quanto agli adulti. Fare spettacoli per l’infanzia significa aver a che fare sempre con un pubblico trasversale, composto anche da genitori nelle repliche per le famiglie e da insegnanti in quelle per le scolaresche. Saper coinvolgere e intrattenere tutta la platea è alla base della nostra scrittura e cerchiamo sempre di costruire narrazioni su più livelli, in grado di arrivare a tutti in modo appropriato. Certe parti del racconto devono essere esplicitate in modo chiaro per poter essere comprese dai bambini, altre lavorano sottotraccia in modo che gli adulti abbiano occasione di riflettere. La semplicità è frutto di ragionamenti approfonditi, e questa diversificazione dell’uditorio ci costringe, in senso positivo, a trovare modalità espressive adeguate.
Secondo la vostra esperienza, qual è il valore – culturale, educativo o anche sociale – di dedicare uno spazio artistico specifico ai bambini?
È fondamentale sotto ogni punto di vista. Il racconto delle storie e il loro ascolto sono alla base della costruzione di una cultura condivisa, e questa non può escludere l’infanzia e la gioventù. Creare il pubblico di domani significa anche creare i cittadini di domani, e l’unico argine contro derive pericolose, a cui stiamo purtroppo già assistendo in tutto il mondo, passa attraverso un’unica strada: l’educazione e la cultura. Un popolo che sa, che conosce, che istruito, che è in grado di comprendere, di discernere e di decifrare sarà un popolo difficile da manovrare. L’ignoranza è un bene prezioso per chi vuole controllare le persone, occuparsi dei più giovani ora è fondamentale per costruire un futuro migliore. Ovviamente dedicare uno spazio ai bambini non significa soltanto trasmettere loro dei contenuti ma anche e soprattutto lasciarli esprimere, aiutarli a trovare gli strumenti per farlo, ascoltare quello che hanno da dire, e questo cerchiamo di farlo quotidianamente nei tantissimi laboratori artistici che organizziamo in tutta la città e in moltissime istituzioni scolastiche.
Cos’è per voi Bologna Estate?
Poter far parte di questo cartellone, ogni anno più ricco e articolato, per noi è davvero un motivo di vanto e siamo convinti che sia ancora più importante il fatto che anche chi, sempre più spesso, a causa delle condizioni economiche sempre più difficili, non riesca nemmeno a lasciare la città per andare in vacanza possa trovare conforto in tanti eventi culturali gratuiti sia una caratteristica davvero virtuosa della nostra città, quindi evviva Bologna Estate sempre.
Beatrice Paganelli per Bologna Estate

