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Bologna Estate racconta #1_2025

Intervista a Shawna Farrell della Bernstein School of Musical Theater

Il musical contemporaneo entra nell’estate di Bologna

Torna l’appuntamento della Bernstein School of Musical Theater all’interno del cartellone di Bologna Estate con una novità: un nuovo nome – BSMT Summer Musicals – e un programma che guarda dritto alle nuove tendenze del musical contemporaneo portando in scena al teatro Duse i giovani talenti della Bernstein School of Musical Theatre in due titoli audaci e attuali: Urinetown e A New Brain.

Il primo titolo in programma è UrineTown, un cult del teatro musicale contemporaneo in scena al teatro Duse il 20 e 21 giugno e ancora il 27 e 28 giugno, è la volta di A New Brain, musical autobiografico che affronta il tema della malattia, della creatività e del senso della vita.

Ne abbiamo parlato con Shawna Farrell, fondatrice e direttrice dell’Accademia BSMT, che ci racconta l’anima e le sfide di questa edizione.

Da A Summer Musical Festival a BSMT Summer Musicals, cosa c’è dietro a questo cambio di nome per la rassegna di Bologna Estate 2025

Il cambio di nome da A Summer Musical Festival a BSMT Summer Musicals riflette principalmente la volontà di riadattare le diverse rassegne agli spettacoli che proponiamo. Nel corso degli anni, la BSMT ha portato avanti tante iniziative per offrire una varietà di spettacoli e coinvolgere al meglio il pubblico estivo.

Sono stati tanti i momenti in cui abbiamo sperimentato formati diversi, sempre con l’obiettivo di valorizzare il talento dei nostri allievi e degli ex allievi, molti dei quali ormai professionisti che abbiamo avuto il piacere di ospitare nelle nostre rassegne.

Quest’anno porterete in scena due titoli, Urinetown e A New Brain, che parlano in modo diretto e profondo toccando temi come cambiamento climatico, la deriva autoritaria del potere, la malattia. Due titoli che affrontano temi contemporanei in modo molto diverso. Come mai questa scelta?

La scelta nasce principalmente dal fatto che di solito selezioniamo i titoli in base alla classe che abbiamo, cioè alle caratteristiche e al talento degli allievi che mandiamo in scena. Come direttrice musicale amo i grandi cori, e sia Urinetown che A New Brain offrono tantissimo in questo senso.

Urinetown è estremamente attuale, soprattutto per il tema del cambiamento climatico, che è un problema reale e urgente. È però trattato in modo comico, con una vena brechtiana che permette di comunicare messaggi importanti in maniera leggera e ironica. Il musical è surreale e satirico, e questo rende più facile far riflettere il pubblico senza appesantirlo. 

Anche A New Brain è surreale, ma racconta una storia molto personale e profonda: prende spunto dalla vicenda reale del compositore William Finn, che ha affrontato un tumore al cervello e un difficile percorso di guarigione. Il tema centrale è il valore della vita, del cuore, e del tempo che abbiamo, anche quando ci troviamo di fronte a prove difficili come una malattia grave.

Entrambi i titoli, seppur diversi, offrono grandi cori e momenti musicali bellissimi, e sono temi che ritengo molto importanti e significativi per i ragazzi e per il pubblico. Insomma, abbiamo scelto due lavori diversi ma complementari, che permettono di esplorare la contemporaneità con sensibilità e approcci diversi.

Urinetown diverte, ma fa anche pensare, una satira che usa l’umorismo per veicolare contenuti profondi, come avete affrontato la sfida di tenere insieme leggerezza e la forza critica della narrazione?

Urinetown è un musical assolutamente attuale, che affronta temi come il cambiamento climatico, la scarsità delle risorse e la corruzione del potere, ma lo fa attraverso una lente ironica e surreale. La sua forza sta proprio nell’uso dell’umorismo per dire cose molto serie: è una satira dichiarata, che si diverte a smontare le convenzioni del musical stesso, prendendole apertamente in giro in modo satirico e intelligente. Questa autoironia è uno degli elementi che lo rende tanto potente quanto accessibile.

Il riferimento a Brecht non è casuale: Urinetown eredita molto dal teatro epico brechtiano, a cominciare dalla rottura della quarta parete e dall’uso del commento metateatrale per smascherare le dinamiche del potere e rendere lo spettatore consapevole. Come nel teatro di Brecht, anche qui l’obiettivo non è solo emozionare, ma provocare una riflessione critica, rendere il pubblico parte attiva del processo teatrale. Lo spettacolo ti fa ridere, ma ti chiede anche: “Cosa faresti tu in questa situazione?”. È una comicità che punge, una risata che lascia un’eco.

In questa edizione abbiamo affidato la regia a Davide Calabrese e la direzione musicale a Lorenzo Scuda, entrambi noti per il lavoro con gli Oblivion, tutti ex allievi della nostra accademia. Loro sono perfetti per questo progetto, perché uniscono una comicità raffinata alla capacità di affrontare tematiche importanti con intelligenza e irriverenza, proprio come nel miglior teatro satirico. Anche le coreografie di Giuseppe Galizia contribuiscono a rendere la narrazione dinamica e carica di senso, esaltando il contrasto tra l’assurdo e il reale.

Il risultato è uno spettacolo che fa ridere, certo, ma che lascia anche molti spunti di riflessione. E questo è il grande potere del teatro musicale quando si ispira ai principi del teatro epico: riuscire a intrattenere senza rinunciare alla profondità, a far pensare senza mai risultare didascalico.

Il secondo spettacolo è A New Brain. In che modo il musical esplora il rapporto tra salute mentale, creatività e pressione sociale? E com’è stato costruito il lavoro registico su uno spettacolo così interiore e simbolico?

A New Brain è un musical profondo, surreale e molto personale, basato sulla vera esperienza di William Finn, il compositore stesso, che si è trovato a combattere una grave malattia cerebrale e ha vissuto un lungo percorso di guarigione. L’intera vicenda prende forma nella mente del protagonista, che si ritrova in bilico tra la vita e la morte, e attraverso questo viaggio interiore emergono in modo potente il bisogno di esprimersi, la fragilità dell’essere umano e l’urgenza di dare un senso alla propria vita.

Lo spettacolo riflette in modo autentico sul valore del tempo, su cosa valga davvero la pena vivere e su quanto spesso ci lasciamo travolgere da preoccupazioni inutili, trascurando ciò che conta davvero. In questo senso, tocca direttamente il tema della salute mentale e del peso delle pressioni esterne – personali, creative, sociali – che possono mandarci in crisi. È una storia che invita alla riflessione, alla rinascita, e alla riscoperta del proprio centro emotivo.

Il lavoro registico è stato costruito magistralmente da Saverio Marconi, con le coreografie di Gillian Bruce. La scelta scenografica è molto simbolica: l’intero spettacolo si svolge in uno spazio bianco, astratto, che richiama un ambiente ospedaliero ma che può trasformarsi in qualsiasi luogo grazie al semplice uso di oggetti e movimenti. Le tende che delimitano lo spazio sono utilizzate per entrate e uscite, creando una fluidità visiva che rispecchia lo stato mentale del protagonista.

Questa ambientazione essenziale consente al pubblico di concentrarsi pienamente sulla dimensione emotiva e narrativa del racconto, amplificando il senso di sospensione tra realtà e immaginazione. A New Brain diventa così un’esperienza teatrale intima, toccante, e profondamente umana.

Nel 2013 avete portato il primo festival di Musical Theater in Italia e sin dalla vostra nascita, nel 1993, avete portato avanti lo studio, la produzione e la messa in scena di quello che in America è chiamato “The thinking man’s musical”, ovvero il musical colto. Come è cambiata in questi oltre dieci anni la percezione del musical nel nostro Paese e qual è secondo lei il valore del musical nella società di oggi?

Negli ultimi anni la percezione del musical in Italia è sicuramente cambiata: il pubblico ha cominciato a riconoscerlo come un genere teatrale vero e proprio, non più solo come intrattenimento leggero. Sempre più persone vanno a teatro a vedere musical e c’è maggiore consapevolezza del lavoro che c’è dietro. Tuttavia, c’è ancora una certa difficoltà a far passare l’idea che il musical, esattamente come la prosa, può affrontare tematiche profonde, complesse, persino tragiche. Non tutti i musical finiscono con un lieto fine, e molti raccontano storie forti, con messaggi importanti.

Purtroppo, spesso il musical viene ancora percepito come un genere “minore”, legato esclusivamente all’intrattenimento. Anche chi lavora nel musical, a volte, si sente dire: “Sì, ma che lavoro fai davvero?”. È una mentalità che resiste, ma speriamo che con il tempo – e anche con un riconoscimento più concreto, come contratti equi e una maggiore tutela professionale – si arrivi a un cambiamento culturale che dia il giusto valore a chi si forma e lavora seriamente in questo settore.

Alla BSMT scegliamo spesso musical che abbiano un messaggio da trasmettere e che propongano spunti di riflessione generale. Negli anni ci è capitato anche di mettere in scena titoli più “commerciali”, ma sempre selezionati per la loro capacità di raccontare qualcosa di importante. Footloose, ad esempio, contiene un monologo profondo e toccante, che spesso viene tagliato, ma che noi abbiamo deciso di mantenere proprio per il suo valore emotivo. Anche The Prom affronta temi rilevanti, come l’inclusione e il rispetto. E perfino i cosiddetti "jukebox musical", come ‘All shock Up’ su Elvis che abbiamo realizzato, possono veicolare messaggi significativi.

Credo fortemente che ogni spettacolo debba lasciare qualcosa al pubblico. Non si tratta solo di canto e danza, ma di storie che parlano all’anima. Oggi il musical è un linguaggio completo, capace di emozionare, far riflettere e raccontare la complessità dell’essere umano. E questo, per me, è il suo valore più grande.

La BSMT è un punto di riferimento, considerata una delle più rinomate scuole di formazione di musical d’Italia. Qual è la vostra filosofia e quale il lavoro che c’è dietro ad un vostro spettacolo?

Siamo al nostro 32esimo anno di attività e ci abbiamo lavorato con grande passione e dedizione. La nostra filosofia è sempre stata molto chiara: i ragazzi italiani meritano lo stesso livello di formazione che ricevono i loro coetanei all’estero, negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel resto d’Europa.

Per questo la BSMT ha sempre seguito un percorso didattico strutturato secondo standard internazionali, offrendo una preparazione completa e di alto livello. Non è un caso se molti dei nostri diplomati lavorano con successo all’estero: a Londra, in Germania, in Spagna, sulle navi da crociera, fino agli Stati Uniti. Sono amati e rispettati perché sono ben formati, disciplinati e pronti al mondo del lavoro.

Dietro ogni spettacolo della BSMT c’è un enorme lavoro. Chiunque assista anche solo a una prova può rendersene conto: il team creativo lavora in profondità, curando ogni dettaglio. Quest’anno, ad esempio, per Urinetown abbiamo avuto Davide Calabrese, Lorenzo Scuda e Giuseppe Galizia, professionisti straordinari. E poi, naturalmente, Saverio Marconi, un’icona del musical in Italia, che per noi è un grande onore avere con noi. Anche la parte coreografica è curata da professionisti di altissimo livello: Gillian Bruce, che per me è la "queen" del musical, è in grado di raccontare una storia attraverso ogni movimento. 

I nostri studenti ricevono un training intenso: ore e ore di prove e studio, che preparano non solo alla scena, ma anche alla comprensione del lavoro dietro le quinte. La produzione coinvolge infatti anche tecnici, costumisti, light designer, audio designer – tutti professionisti del settore – che contribuiscono a portare in scena spettacoli di livello professionale, pronti per circuiti veri.

E poi, naturalmente, c’è Pino (Giuseppe Lombardo) nonchè mio marito: il nostro “Mr. Producer”, che fa davvero tutto.

Che tipo di studenti arrivano alla BSMT? E cosa cercano?

Alla BSMT arrivano studenti con profili molto diversi: attori, cantanti, ballerini. Purtroppo c’è ancora un po’ l’idea che la scuola sia focalizzata solo sul canto, ma non è così. Da anni abbiamo danzatori di altissimo livello e, a partire dal 2016-2017, con l’arrivo di Gillian Bruce e altri cambiamenti nel reparto danza, anche questo ambito ha avuto una crescita straordinaria. Oggi la formazione è veramente completa e i nostri studenti sanno che qui il training è a 360 gradi.

Chi sceglie la BSMT lo fa perché cerca una formazione professionale seria e intensiva e con un Diploma accademico di I Livello. Molti dei nostri diplomati oggi lavorano stabilmente nel settore, sia in Italia che all’estero. Ma non solo come performer: alcuni, grazie alle esperienze vissute durante la formazione – come aiuto regia, aiuto musicale, coreografia, costumeria, oggettistica, stage management – hanno scoperto altre strade e hanno deciso di specializzarsi dietro le quinte. 

Silvia Santachiara per Bologna Estate