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Bologna Estate racconta #11

Intervista a Daniele Del Pozzo, Assessore alla Cultura del Comune di Bologna

Con SI GIRA! la magia del cinema arriva nei quartieri

“Un’opera non esiste senza un pubblico. La presenza delle persone è ciò che le dà valore e le permette di creare cultura” così riflette l’assessore Daniele Del Pozzo, alla guida delle politiche culturali di Bologna, parlando di Si Gira!, la rassegna cinematografica itinerante che dal 19 agosto al 7 settembre porta il grande schermo nei quartieri della città.
Un progetto che nasce dal desiderio di creare occasioni di incontro e condivisione, trasformando piazze e giardini in piccole arene a cielo aperto da 150 posti a sedere. Spazi di prossimità in cui il cinema diventa esperienza collettiva, capace di avvicinare comunità diverse e restituire al pubblico un ruolo centrale, imprescindibile per dare senso e vita a ogni iniziativa culturale.

 

Quest'anno Si gira! prende idealmente il testimone di Sotto le stelle del cinema in piazza Maggiore, portando il cinema dalla piazza centrale ai quartieri. Quanto conta questa continuità tra centro e periferia?
La programmazione in piazza Maggiore fa confluire la città verso il suo centro, è una sorta di adunata pubblica nel cuore di Bologna. Con Si gira! la continuità rimane perché la curatela dei titoli è sempre della Cineteca, che programma per il centro e per le periferie. La differenza è che stavolta il cinema non porta tutti in un unico punto, ma è lui a spostarsi nei quartieri. È un cambio di passo sostanziale. Vuol dire andare incontro a un pubblico che magari non ha possibilità, interesse o strumenti per migrare verso il centro. Portare la programmazione sotto casa significa prossimità: far trovare il cinema a pochi passi uscendo dalla dimensione domestica eppure vivere un’esperienza collettiva.
Sedersi accanto a persone con cui si condivide lo stesso condominio o la stessa strada crea un legame diverso. Magari con loro solitamente si scambia solo un “buongiorno” o “buonasera”, ma guardare un film insieme può aprire nuove relazioni. Non è programmato, ma può accadere e generare qualcosa di bello.

 

Ci sono più piani di lettura con cui si può guardare ciò che accade intorno a queste arene estive.
Dopo un film può nascere una discussione, una riflessione, o si può semplicemente godere di un’emozione condivisa. 
Si stabilisce una corrente emotiva che è forte, sostanziale. 
Vedere un film scatena pensieri e sensazioni, e soprattutto in questo contesto la condivisione è spontanea. Cultura e intrattenimento, qui, vanno a braccetto: intrattenere significa anche trattenere insieme, catturare l’attenzione, condividere un’esperienza in modo attivo e non solo evasivo. 

 

Si Gira! 2025 torna con un cartellone rinnovato e nuove collaborazioni. Quali sono le linee guida che hanno orientato il calendario di quest’anno?
In primo luogo, sono affiancate opere cinematografiche di fiction a documentari. Questi ultimi raccontano anche la città stessa. La febbre del fare narra Bologna dal 1945 al 1977, il periodo delle grandi trasformazioni guidate dal PCI; Per Lucio racconta un protagonista che ha intrecciato la sua vita artistica e professionale con la città; Romina invece intreccia la vicenda di una persona comune e della sua famiglia con quella della Bologna in cui vivono. È la storia di una persona qualunque, nel senso buono del termine, e questo permette di vedere la dinamica collettiva di una città.
Si crea così un ventaglio che va dal personaggio pubblico, come Lucio Dalla, alla vita di chi contribuisce in modo silenzioso alla comunità. È una chiave di lettura preziosa per capire come la programmazione tenga conto del contesto in cui agisce.

 

Tre documentari firmati da registi legati a Bologna: due di loro hanno studiato in città e sono nomi riconosciuti nel settore. Che valore ha, secondo lei, restituire una narrazione “dal basso” e così radicata nel tessuto culturale locale all’interno di un progetto pubblico?
Da un certo punto di vista questo testimonia come Bologna sia stata capace di creare un vero sistema sul cinema.
La programmazione che raggiunge i quartieri, così come quella di Piazza Maggiore, insieme alla presenza della Cineteca, esprimono un’attenzione precisa verso il pubblico. Il ragionamento che la Cineteca sta portando avanti è puntuale e intelligente, costruito in stretto dialogo con l'amministrazione. Quando si parla di “sistema” non ci si riferisce solo alla produzione e alla programmazione, ma anche alla formazione delle figure che operano nel cinema: sceneggiatori, registi, montatori, tecnici e molti altri.
E il fatto che molte di queste figure professionali si siano formate qui e continuino a lavorare in città, interessandosi e mantenendo un legame con il tessuto sociale di cui fanno parte, racconta una prossimità preziosa: da un lato offre uno sguardo professionale e competente, dall’altro lo arricchisce con la prospettiva di chi vive e condivide quella stessa realtà.

 

La rassegna si apre con Un sacco bello di Carlo Verdone, recentemente restaurato dalla Cineteca. Che significato ha per Bologna valorizzare i restauri e proporli in un contesto popolare e all’aperto come Si Gira!?
L’importanza è altissima, e il Comune su questo pone un’attenzione formidabile. Il restauro non è mai fine a sé stesso: non serve solo a preservare un’opera, ma a restituirla a un pubblico nelle stesse condizioni in cui poteva vederla alla sua uscita. Un sacco bello è del 1980: significa che chi aveva vent’anni all’epoca, adesso va per i settanta. Proporlo oggi non è solo un’operazione di memoria, ma un modo per trasmetterlo alle nuove generazioni e creare occasioni perché resti vivo.
Il restauro è la prima condizione, la programmazione è la seconda. Portare un film restaurato nei quartieri significa offrirlo a chi non era ancora nato quando è uscito, capire come reagisce un nuovo pubblico e, allo stesso tempo, leggere quell’opera come testimonianza di un’epoca lontana ma fondamentale per la nostra storia. 
Faccio un esempio: il 1980 è l'anno della strage del 2 agosto. Un sacco bello, con le sue maschere e i suoi personaggi, racconta un’Italia di quel periodo, con gli stereotipi degli italiani di quell'epoca e quell’immaginario. È interessante vedere come l’opera possa dialogare, in modo conscio o inconscio, con il contesto storico della Bologna di quel periodo.
È un’occasione in più per creare delle possibili connessioni tra cose apparentemente distanti, ma su cui possono innescarsi dei ragionamenti. 

 

Il pubblico ha una propria capacità critica, un livello culturale e una curiosità che fanno sempre da filtro e portano a letture e livelli di interpretazione diversi della stessa opera. 
Considera anche di fare questo ragionamento: i film di Si Gira! nei quartieri sono a ingresso gratuito, in continuità con Sotto le Stelle in Piazza Maggiore. Questo significa che chiunque può “buttare un occhio”: magari il primo giorno non esce di casa, sente solo l’audio dalla finestra; il secondo giorno si affaccia; il terzo scende a guardare il film; il quinto, forse, porta anche una torta da condividere con gli altri.
È un processo naturale che trasforma la rassegna in un rituale collettivo, creando un’abitudine e generando nuove relazioni. Non è un evento spot che arriva e sparisce: sei giorni nello stesso luogo permettono che qualcosa resti, sedimentando l’esperienza e consolidando un’abitudine culturale condivisa. 

 

La fruizione del cinema è cambiata molto con lo streaming e le piattaforme digitali. Che ruolo ha oggi una rassegna come Si Gira! e quale valore aggiunto può dare rispetto alla visione domestica?
Credo che il valore stia esattamente nell'uscire dal domestico. 
Durante il lockdown abbiamo sperimentato nuove modalità di fruizione in casa, che per alcuni sono state positive, per altri più critiche. Ma la mancanza più sentita è stata la condivisione dal vivo. Guardare un film insieme ad altre persone – amici, vicini, sconosciuti – è un’esperienza che amplia il cerchio delle relazioni. In sala o in piazza puoi trovarti accanto a qualcuno che non conosci e scoprire di condividere emozioni o riflessioni.

 

Quanto è importante che iniziative come Si Gira! non restino appuntamenti isolati, ma diventino strumenti stabili di trasformazione culturale e sociale? In che modo è possibile misurarne l’impatto reale nel tempo?
È vero che le sei giornate in ciascun quartiere sono un tempo contenuto, ma Si Gira! è un appuntamento che torna ogni estate. E questo è già un impegno del Comune: un’azione che, ripetuta, permette di osservarne gli effetti sul medio periodo. 
L’esempio della torta di cui parlavo prima è reale e rende bene l’idea di come si possano creare abitudini e legami anche in pochi giorni. Una signora, rimasta vedova, non andava al cinema da anni. Con le proiezioni sotto casa è scesa “per curiosità” e, giorno dopo giorno, ha iniziato a frequentare le serate. Alla fine dell’ultima settimana ha portato una torta da condividere con le persone che aveva conosciuto lì. Può sembrare un episodio piccolo, ma è già un indicatore di come un’iniziativa culturale possa impattare su un tessuto sociale.
Se queste azioni fossero isolate, si esaurirebbero in fretta. La differenza sta nella continuità: il Comune porta avanti in maniera strutturata attività nelle periferie, anche attraverso bandi specifici che affiancano Bologna Estate, e lo fa tutto l’anno, fino a dicembre. Il centro ha già molte occasioni culturali; il lavoro più interessante è portare eventi in aree considerate “fuori dal radar”, che sono però ricche dal punto di vista sociale, culturale, comunitario e umano.
In queste zone un progetto culturale reagisce con la comunità. Il lavoro costante e il dialogo con i quartieri ci permette di ricevere feedback, capire come è andata, rinforzare o correggere il tiro l’anno successivo.
Il Settore cultura del Comune è, in questo senso, un osservatorio privilegiato e un ottimo strumento di dialogo: ascolta quartieri, comunità, comitati, associazioni e terzo settore, costruendo proposte calibrate sui diversi contesti.

 

Perché proprio questi tre quartieri? Che cosa rappresentano? Penso alla Bolognina, una zona molto interessante per fare sperimentazioni e che forse ne ha anche bisogno più di altri…
È vero, però la Bolognina rischia di diventare il punto attenzionato che fa dimenticare che Bologna è più grande. Su quell’area sono già stati fatti interventi importanti, anche sul piano culturale: due case di quartiere (Fondo Comini e Katia Bertasi), piazza Lucio Dalla come presidio culturale costante e spazi riqualificati come il giardino con la nuova fontana a raso, luogo di incontro spontaneo e “democratico” per persone di culture e generazioni diverse.
Proprio per evitare che altre zone passino in secondo piano, la scelta è ricaduta su Borgo Panigale-Reno, Savena e Porto-Saragozza. Per esempio, in quest’ultima abbiamo voluto agire alle Popolarissime, la zona delle case popolari individuata in dialogo con le comunità locali, per un ampliamento dell’offerta culturale pubblica.

 

A questo punto mi sembra doveroso citare anche la programmazione per i più piccoli.
Certo, una programmazione che riguarda anche le famiglie.
Abbiamo La storia infinita, Inside Out e Kung Fu Panda 1. Quando prima parlavamo del dialogo intergenerazionale, a me piace molto anche portare questo esempio:  quando siamo piccoli chi ci porta al cinema sono i grandi, e i grandi solitamente scelgono il film per te. Ma a un certo punto sono i bambini che esprimono dei desideri e credo che questo sia un meccanismo interessante. 
Come interessante è anche mischiare i pubblici. È chiaro che qui, c’è un pubblico per i documentari, uno per i bambini e bambine, eccetera, però credo anche che avere un cinema all'aperto nello spazio comune di un caseggiato aiuti anche a guardare i bambini in un altro modo. Spesso vengono visti come fonti di disturbo. Ci sono le regole condominiali che dicono che non si deve fare rumore o non si gioca a una certa ora e questo per regolamentare anche gli schiamazzi dei più piccoli. Il tema esiste. 
Dall’altro canto è possibile che, guardando un film insieme, si possano far conoscere i bambini del quartiere, e permettere che “vengano adottati” da una comunità più ampia, diventando elementi festosi e non fonte di schiamazzi. 

 

Per loro due titoli così diversi come Inside Out (recentissimo) e La storia infinita, film cult per molte generazioni.
Dietro La storia infinita c'era un libro. Dalle storie possono nascere delle storie: è un altro possibile ingaggio. Può essere uno spunto per riportare le persone nelle biblioteche di quartiere, parte del sistema civico di Bologna.
Le biblioteche sono un bene pubblico impagabile: oltre al prestito e alla lettura, ospitano corsi, laboratori e attività sociali. Il cinema all’aperto diventa così un tassello di un progetto più ampio, che agisce sul territorio creando occasioni di incontro, cultura e comunità.

 

Un’ultima curiosità: in cosa si distingue Bologna Estate rispetto a iniziative simili in altre città?
Bologna Estate è un’azione sistemica e ricorrente: ogni anno vengono stabiliti fondi pubblici che vengono ripartiti con un atto pubblico, a cui partecipano associazioni, cooperative, realtà del terzo settore, singoli operatori.
Il Comune lavora in interlocuzione continua con chi propone i progetti: si valutano spazi, periodi e modalità. È un lavoro di tessitura reso possibile dal fatto che ci sono delle persone molto competenti nel settore cultura e una relazione di lungo periodo con chi la produce in città. È un modello che coinvolge anche i quartieri, per capire esigenze e potenzialità dei diversi territori.
Credo sia qualcosa di abbastanza unico in Italia, perché non si limita al “grande evento” o al “grande nome” per fare comunicazione: qui l’idea è che le risorse pubbliche vengano messe a disposizione di Bologna, e che chi le riceve restituisca qualcosa alla comunità.
Non si tratta di una linea artistica data dal Comune, ma è un'accoglienza delle proposte che arrivano direttamente dalla città, con pro e contro rispetto ad altri modelli. Resta però costante un principio: la cultura come bene pubblico, su cui è possibile investire risorse pubbliche per generare valore. 

 

Se dovesse sintetizzare in una frase il cuore di Si gira! 2025, quale sarebbe?
Il cinema bussa alla tua casa.

 

Laura Bessega per Bologna Estate