
La città di Bologna diventa palcoscenico per Danza Urbana
Bologna Estate racconta #15 - Intervista a Massimo Carosi
Dal centro alla periferia, la città si trasforma in un grande palcoscenico diffuso a cielo aperto su cui si esibiranno artisti e compagnie selezionati tra i protagonisti della nuova danza
d’autore e della coreografia italiana ed internazionale.
Da martedì 5 settembre a domenica 10 settembre arriva la 27ma edizione di Danza Urbana,
festival ideato nel 1997 da Massimo Carosi e Luca Nava - rispettivamente Direttore artistico
e Direttore organizzativo della manifestazione - insieme a un gruppo di studenti del corso di
Storia della Danza di Eugenia Casini Ropa al DAMS di Bologna, per costruire un dialogo
creativo tra danza, performance contemporanea e ambiente metropolitano.
Il festival è curato da Danza Urbana ETS, che si occupa di promozione della danza nello
spazio pubblico e dello scouting di nuove identità autoriale coreografiche.
Abbiamo raggiunto il direttore artistico Massimo Carosi per farci raccontare qualcosa di più di questa nuova edizione del Festival per Bologna Estate 2023..
Cosa significa portare la danza nello spazio pubblico e in che modo riesce a costruire
relazioni con i luoghi e le comunità?
La danza è una forma d’arte fortemente empatica, che non pone barriere linguistiche e parte
da un elemento comune a tutti: il corpo. Quando questa arte esce dagli spazi teatrali e si
immerge nei luoghi della quotidianità, negli spazi pubblici - o più semplicemente abita il
mondo - ha la capacità di ri-semantizzare e ritualizzare i luoghi, facendoceli vivere in modo
differente attraverso un’esperienza estetica e affettiva. Questa si imprime nella nostra
memoria, modificando la percezione e i modelli abituali di fruizione dello spazio pubblico. Si
crea, così, un’affezione, ovvero una relazione più stretta di identificazione e appartenenza ai
luoghi stessi.
La danza urbana costruisce una relazione con i contesti nei quali si offre: non solo i luoghi,
ma soprattutto le comunità che li abitano o fruiscono. Lo fa attraverso pratiche creative
partecipative o più semplicemente nella condivisione dell’esperienza dell’evento. La
diffusività, l’accessibilità e l’inclusività sono le prerogative che rendono questo specifico
ambito della danza uno strumento straordinario di costruzione di un senso di comunità.
Il corpo performante nello spazio pubblico è anche presidio di libertà.
Qual è il filo conduttore che ha guidato la scelta delle proposte in cartellone?
In questa edizione le creazioni artistiche in programma non hanno un portato stilistico
comune o una linea estetica univoca, ma si presentano nella loro eterogeneità come
pratiche di relazione con i contesti, aprendo nel loro insieme una riflessione sul tempo e
sulle sue pieghe.
Con i suoi eventi negli spazi della città il Festival spezza la percezione di un tempo
quotidiano e routinario, increspa la linea del tempo. Dentro ogni piega c’è un tempo altro,
soggettivo, libero di dispiegarsi e modularsi. Ogni creazione ci proietta in un tempo a
perdere, lontano dalla dittatura del tempo cronologico. Questa edizione ci invita a un tempo
di cura di sé e per gli altri attraverso pratiche partecipative, la condivisione di esperienze,
lapartecipazione ad eventi.
Siete arrivati alla 27esima edizione. Come è nata l’idea di un festival diffuso che
portasse la danza nei contesti urbani e come è cambiato negli anni?
Il Festival originariamente era nato con l’intento di avvicinare il pubblico ai linguaggi
contemporanei della danza, portando le creazioni artistiche contemporanee negli spazi
pubblici. Poi è diventato laboratorio straordinario di nuove pratiche artistiche, di formati e
oggetti culturali, dando impulso a un nuovo ambito della danza in Italia, dove il rapporto con
la quotidianità avviene non solo per il coinvolgimento dei luoghi che attraversiamo
abitudinariamente, ma per la capacità di costruire un punto di esperienze e di riflessione
sulla nostra condizione di cittadini, di abitanti. Si fa - evento dopo evento - geografia e
discorso sulla città, capace di raggiungere tutti a prescindere dall’età, dalla propria
formazione culturale o condizione economica.
Quali le novità e gli highlights di questa edizione?
Tra le novità e gli appuntamenti da non perdere segnalo “Stuporosa”, anteprima della
nuova creazione di Francesco Marilungo nella magnifica cornice dell’Ex Chiesa di San
Mattia, che ci immerge nel tempo del rito, tra scavo antropologico e reinvenzione di tradizioni
remote. La natura rituale dell’evento teatrale la ritroviamo anche in “HellO°” di Kinkaleri,
sempre nell’Ex Chiesa di San Mattia, dove un corpo nella sua fragilità si offre allo sguardo
del pubblico nella sacralizzazione dell’umano, e in “Body Farm” di SiIvia Rampelli / Habillé
d’eau, presentato lungo un tratto della sponda del Reno. Quest’ultima performance, che
chiude questa edizione del festival, è un esperimento intorno alla percezione dell’evento
performativo.
Infine, gli eventi al MAMbo, sabato 9 settembre, si sviluppano in momenti di riflessione con
una maestra come Silvia Rampelli e di visione di nuovi autori emergenti della scena
internazionale, con la possibilità - per chi vuole - di vedere la mostra dedicata alla grande
artista e maestra Yvonne Rainer.
Tra gli appuntamenti in programma c’è CU(ltu)RA. Movimenti aperti nel paesaggio
della comunità, a cura di Riccardo Balestra, Sara Corrado, Cecilia Depau: un progetto
sostenuto da DAR (Dipartimento delle Arti – Università di Bologna) nell’ambito del
progetto Scalo Malvasia di Fondazione Innovazione Urbana e DAMSLab per la
riqualificazione del quadrilatero tra via Malvasia, Pier de’ Crescenzi, Casarini e dello
Scalo dove sorgerà il Parco della Resilienza e un nuovo padiglione per la comunità.
In che modo l’associazione Danza Urbana ETS ha collaborato per progettare un nuovo spazio pubblico per i cittadini?
Danza Urbana ha sottoscritto una convenzione con l’Università di Bologna e ha offerto un
laboratorio di progettazione di eventi performativi nello spazio pubblico, rivolto agli studenti
e alle studentesse del corso di laurea magistrale di Musica e Teatro. In questo primo anno il
laboratorio ha avuto come esperienza sul campo l’area di rigenerazione urbana Scalo
Malvasia. I/le partecipanti al laboratorio hanno sviluppato delle idee progettuali tese non
tanto a progettare il nuovo Parco della Resilienza, quanto a costruire comunità,
riappropriazione degli spazi comuni da parte dei cittadini e dei residenti con azioni di welfare
culturale. Il successo di un progetto di rigenerazione urbana non scaturisce semplicemente dal
tipo di intervento urbanistico e architettonico, ma dalla capacità di rigenerare anche nei
residenti e nei fruitori un senso di comunità e appartenenza a quei luoghi.
Il progetto collettivo dei/lle partecipanti al laboratorio ha trovato esito all’interno del
Festival grazie alla FIU e al DAMSLab.
Il festival si apre con la performance Porpora che cammina. Perché questa scelta e
quale il suo valore?
Danza Urbana ha fortemente voluto e sostenuto questa produzione un po’ folle e
complessa: una performance site-specific itinerante che si sviluppa per oltre dieci chilometri,
un fuori formato della durata di quasi cinque ore.
Porpora che cammina offre un attraversamento a piedi della città, dal centro alle sue
propaggini più estreme, dove il mutare dei luoghi e del paesaggio è accompagnato dallo
scorrere del tempo, dal pomeriggio al crepuscolo, nella condivisione dell’esperienza e della
fatica fra artisti e partecipanti, che si fa discorso sulla città e sulle nostre esistenze.
I pensieri e i ricordi dell’attivista e intellettuale Porpora Marcasciano, ci guidano in questo
percorso, unendo il piano biografico e quello politico, la memoria individuale e quella
collettiva, attorno a un’esperienza concretissima sulla città e nella città, che matura passo
dopo passo. Un’esperienza che ci rivela Bologna, i molti volti di questa città che non
conosciamo o semplicemente ignoriamo, una città ora tragica, ora magica, ora frenetica ora
quieta.
Vi occupate anche di fare scouting di nuove identità autoriali coreografiche attraverso
il progetto DANCESCAPES. In cosa consiste?
Dancescapes è un progetto che si rivolge a giovani artiste/i interessati a indagare la
relazione tra danza e paesaggio, fra corpi e luoghi, comunità, territori. Lo fa attraverso borse
di ricerca coreografica, borse di mobilità all’estero, percorsi di alta formazione, residenze
artistiche, occasioni di tutoraggio e accompagnamento, momenti di visibilità e promozione.
Lo fa con una rete di collaborazioni nazionali e internazionali. Allo stesso tempo coinvolge gli
studenti del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna interessati a scoprire a livello
curatoriale quali possibilità la relazione tra arti performative e paesaggio apra alla ricerca
di linguaggi, alle pratiche artistiche.
La danza urbana si apre, infatti, alle questioni del rapporto con l’ambiente e alle questioni
sociali che affliggono le nostre città. Non porta soluzioni, ma offre delle prospettive di
indagine e stimola lo sviluppo di nuovi modelli culturali.
Qual è oggi il vostro obiettivo?
Il nostro obiettivo è affermare la danza come arte democratica, accessibile, diffusa, capace
di rinnovare ogni giorno il nostro rapporto quotidiano con i luoghi e le comunità che
compongono questa città, di costruire senso e bellezza e poterci far fare esperienze di modi
di vivere Bologna inclusivi, democratici, aperti alle sfide del futuro.
Silvia Santachiara, per Bologna Estate