
Attorno al Museo nel 43° anniversario della strage di Ustica
Bologna Estate racconta #7 - Intervista a Daria Bonfietti
“Non voglio che si riconosca quella persona. Voglio che si riconoscano tutti”.
Così disse Christian Boltanski, artista internazionale e autore dell’installazione permanente con i pezzi recuperati in mare del DC9 Itavia, all’interno dell’hangar museo dove è stato ricostruito l’aereo. Nel museo di Ustica non c’è nessun nome delle vittime della tragedia aerea accostato a una foto. È stata una sua scelta. Intorno al relitto, 81 specchi neri, uno per ogni vittima, conducono lo spettatore nella profondità del mare.
In occasione del 43° anniversario della strage, ritorna la rassegna estiva Attorno al Museo, ideata e voluta dall’Associazione parenti delle Vittime della Strage di Ustica. Una serie di eventi, fino al 10 agosto, uniscono teatro, musica, arte contemporanea e poesia intorno a un unico fulcro: il museo e l’opera di Boltanski. Perché la memoria di ciò che è stato non sia solo ricordo, ma costruzione, punto d’incontro, lotta per la verità.
La memoria ha a che fare con la conservazione del passato. Un passato fatto di tanti numeri e date: 43 anni dalla strage di Ustica avvenuta il 27 giugno 1980, 81 persone morte, 1988 anno di fondazione dell’Associazione parenti Vittime della Strage di Ustica, 1999 la sentenza del giudice Priore: “l’incidente al DC9 è accorso a seguito di un’azione militare di intercettamento”, 2004 i vertici dell'aeronautica vengono assolti per prescrizione, 2006 il reato di alto tradimento viene mantenuto solo in caso di uso della forza e conseguente assoluzione in Appello degli stessi, 2008 riapertura dell’inchiesta da parte della magistratura, 14 luglio 2021 morte di Christian Boltanski. In questo elenco cosa manca?
Emotivamente le rispondo: manca Boltanski, scomparso nel 2021, che con tanti numeri ha creato un’opera d’arte. Usandoli ha già fatto cose incredibili e bellissime che ci colpirono fin dai nostri primi incontri.
Ma con la ragione le dico che manca sapere chi ha sferrato il colpo mortale al DC9 Itavia, dopo che abbiamo saputo che è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea. Dopo che abbiamo saputo che si trattava di un episodio indicibile, uno scontro tra Stati Uniti, Francia, Italia e Libia.
Ho letto un articolo del 1993 e mi ha colpito una domanda che le hanno rivolto: A che punto siamo? Lei rispose che sperava fosse l’anno della verità, era l’ultimo di una certa fase. Il giudice doveva consegnare gli atti. Sono passati 30 anni esatti, un tempo lunghissimo, e le ripongo oggi la stessa domanda: a che punto siamo?
È la domanda che tante volte in questi anni mi sono rivolta anch’io. Sono stati anni lunghi e tormentati di ricerca e di speranza. Questa domanda mi è arrivata spesso nei momenti difficili. Anche oggi, noi, parenti delle vittime, che stiamo aspettando dal 2008 le conclusioni di un’indagine aperta dalla Procura della Repubblica di Roma, anche oggi dopo che il presidente Cossiga ha dichiarato sotto giuramento che il DC9 è stato abbattuto dai francesi che volevano colpire Gheddafi, ritorna la stessa domanda con la stessa tensione. Una tensione portatrice di impegno ma anche di delusione.
Non solo Ustica, ma anche la strage di Bologna, il sequestro Moro, l’omicidio Mattarella, la lista è lunga. I casi irrisolti o non del tutto risolti sono ancora tanti. Lei è stata segretaria della commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Perché dopo decenni ci sono ancora esigenze di tutela dello Stato? Perché non è stata fatta ancora luce?
Perché nel fondo grigio del nostro Paese si sedimentano ancora tanti problemi. Le verità sono complesse, difficili da trovare e mettono in discussione equilibri, comportamenti e responsabilità con cui è problematico fare i conti. Ma sarebbe importante farli fino in fondo con la propria storia. E qui sta il punto. Io ho sempre pensato ad Ustica come uno scorpione velenoso che era meglio lasciare nascosto sotto le pietre. Si sapeva che c’era ma era preferibile lasciarlo lì per evitare i veleni. La storia della nostra Repubblica, ma forse più in generale dell’Italia Unita, è fatta di scorpioni che si vogliono lasciare nascosti sotto le pietre. Si conoscono le verità, ma è meglio non affrontarle, non fare fino in fondo i conti con la propria storia.
Ancora una volta l’arte si fa carico di ricordare quello che è successo e fa riflettere. Crea per colmare il vuoto di risposte da parte della politica.
Quest’anno avete idealmente diviso il vostro programma in due categorie: collaborazioni e invenzioni. Le chiedo di soffermarsi su qualcuno di questi eventi per qualche considerazione personale.
Quando si parla di collaborazioni si indicano le istituzioni culturali che, attraverso l’uso dell’arte, sono sempre state al nostro fianco, nella battaglia per la memoria e la verità. Penso al MAMbo che ogni anno ci “offre” un’opera e questa volta si tratta dell’installazione “Evidenza di reato” dell’artista francese Thomas Turlai. Penso anche al Bologna Jazz Festival con il concerto Odesa e poi, e lo dico con soddisfazione, al Conservatorio G. B. Martini che porta il concerto “Istantanee di volo” con musiche composte ed eseguite da giovani studenti. E ancora le cucine Popolari di Bologna e Il Centro Montanari con le serate “La memoria a tavola” per portare solidarietà e beneficenza verso chi ha bisogno.
Quando invece parliamo di invenzioni significa che abbiamo opere originali che nascono direttamente dalla suggestione della storia di Ustica o del Museo stesso. Ad esempio, Ateliersi, compagnia bolognese alla quale siamo particolarmente legati, porterà un lavoro che nasce da un'installazione che Daniele del Giudice, scrittore che ha dedicato molti lavori a Ustica e ha collaborato con Paolini all’omonimo progetto teatrale, aveva preparato per la Triennale di Milano.
La sua opera, che era composta dal vestito di un venditore ambulante straniero, un foglio di Mani Pulite, alcuni dischi, una delle prime riviste di informatica e il tracciato radar del DC9 Itavia, a un certo punto è andata perduta. Poi lui è venuto a mancare. Dal ritrovamento della presentazione e delle foto di Del Giudice è nato lo spettacolo “Il linguaggio degli oggetti”. Fiorenza Menni e Andrea Monchi Sismondi di Ateliersi ci riporteranno tante emozioni, facendoci immergere nella relazione che si instaura con gli elementi del reale, oggetti custodi di gesti e memorie.
E poi ci sarà un incontro con Luca Bottura che, con la sua sensibilità, ci riporterà nell’attesa della verità per la strage di Ustica.
Il 14 luglio invece, terzo anniversario della morte dell’artista, ci sarà la serata Omaggio a Christian Boltanski con due documentari dedicati a lui e al suo lavoro con la presentazione di Annalisa Rimando, curatrice del Dipartimento Collezione contemporanea del prestigioso Centre Pompidou di Parigi.
L’installazione permanente di Boltanski e quella che presenterete il 27 giugno dell’artista francese Thomas Teurlai utilizzano i pezzi dell’aereo DC9 creando un ponte tra passato e presente, restituendo a questi oggetti una loro contemporaneità. Cosa rappresentano per lei i pezzi di questo aereo?
L’aereo ha accompagnato i nostri cari nel loro ultimo viaggio, nell’ultima parte della loro vita. È stato un compagno fedele. Li ha visti per ultimo. Non potevo accettare che quel relitto, dopo le esigenze di giustizia che lo avevano fatto ripescare dalle profondità del Tirreno e poi ricomporre, venisse buttato in una qualche discarica. Lo abbiamo riportato a Bologna e ne abbiamo costruito intorno un Museo. Per noi rappresenta qualcosa di sacro, in ogni suo pezzo, in ogni suo brandello, grazie alla straordinaria meraviglia che è l’arte.
Le collaborazioni con diverse istituzioni a livello locale sono state importanti nel costruire un riferimento culturale di Ustica in città e mantenerne viva la memoria a fronte di un’assenza, di una mancanza di collaborazione internazionale in cui il nostro Paese non si è fatto valere. Vuole darci una sua riflessione?
Tutto il nostro percorso è stato accompagnato dalle istituzioni, con l’adesione politica sincera di Comune, Provincia (ora Città Metropolitana) e Regione.
Il Comune si è impegnato in particolare nella realizzazione del Museo, a partire dal Sindaco Vitali. Quando gli ho detto che volevo portare a Bologna il relitto, ha cominciato subito a guardarsi attorno per cercare una collocazione. E poi c’è stato il contributo dei Beni Culturali che ha restaurato la vecchia scuderia della società dei trasporti Tper, ora sede del museo.
Comune, Provincia e Regione hanno finanziato tutta l’operazione anche con un contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna che aveva come scopo di aiutare la parte didattica.
Ma non è solo un dato numerico, c’è stata una vera e propria collaborazione. Tutto è nato dalla collaborazione con gli enti locali.
Dall’altra parte invece c'è la vicenda giudiziaria. È chiara la grande mancanza della politica estera italiana. Non c’è stata una spinta con le rogatorie. Quello che noi denunciamo in questa vicenda è la scarsa collaborazione internazionale che a nostro modo di pensare deriva dal poco impegno con il quale i nostri governi hanno bussato alle porte di stati amici ed alleati.
E il governo quest’anno ha mancato anche nelle attività legate al museo. Negli anni scorsi uno degli appuntamenti, particolarmente prezioso, era uno spettacolo che nasceva dalla partecipazione degli studenti delle classi superiori. I ragazzi si preparavano, studiavano la storia di quel periodo, si avvicinavano ai parenti e parlavano con loro, insomma era un progetto di crescita e aveva valore sotto tanti punti di vista.
Quest’anno non c’è stato perché da parte del Ministro dell’istruzione è venuto a mancare un accordo con tutte le associazioni delle vittime del terrorismo.
Se un giorno anche le vostre ultime domande avranno finalmente una risposta, quale sarà il futuro del Museo di Ustica? Continuerà a mantenere vivo il ricordo di quello che è successo o si prenderà cura delle memorie di altre Ustica?
Il futuro del museo è continuare a vivere e diventare una fondazione in cui tutte le attività, da quelle con le scuole alla ricerca degli spettacoli, si possano mescolare insieme in un’unica realtà che diventi un riferimento culturale per la città. È un salto in avanti. Oggi ci occupiamo separatamente del museo e delle iniziative. Io credo che il futuro, e lo condividiamo anche con il sindaco, sia mettere insieme queste due anime per rafforzare la didattica con la storia, la storia e la memoria con gli spettacoli. Il museo deve continuare a raccontare ma anche a fare inventario com’è successo per il caso di Ateliersi.
Cosa si porta di positivo da questi 43 anni di attesa, speranza, coraggio, lotta e caparbietà?
In questi 43 anni di positivo c’è che siamo rimasti dei cittadini.
Siamo rimasti fedeli alle idee che avevamo in quei giorni in cui i nostri cari sono scomparsi. Abbiamo tenuto insieme la voglia di essere cittadini con il loro ricordo.
Cosa intende esattamente?
Il 27 giugno scorso, il giorno dell’inaugurazione, c’è stato qualcosa di incredibilmente fortunato e sfortunato al tempo stesso. Sfortunato perché all’apertura, mentre parlava il sindaco, è iniziato a piovere a dirotto. Ci siamo subito raccolti nel centro Montanari e, senza alcuna preparazione o richiesta, tra chi cercava un cavo, chi una seggiola, chi un chiodo, all’interno di quella sala piena di gente, è nata una partecipazione, una collaborazione incredibile e non scontata. Poi Elena Di Gioia, dopo che me ne sono andata perché non stavo molto bene, ha detto: “Di Daria mi ricordo una cosa. Un giorno a un artista che le chiedeva ma io come ti posso citare? Lei gli ha risposto: chiamami cittadina”.
Cos’è per me un cittadino? È il protagonista della storia del suo paese, rispettoso delle regole, legato agli ideali, ma è anche qualcuno che fa il proprio dovere nei confronti dei propri cari.
Guccini, nella canzone La locomotiva, a un certo punto dice: fratello non temere io corro al mio dovere. Quello che i parenti delle vittime hanno cercato di fare è rimanere uniti. Tutto questo è il museo di Ustica.
Laura Bassega, per Bologna Estate

Foto di Laura Bessega

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