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Bologna Estate racconta #14

Intervista a Monica Ratti (Hip Hop Generation) e Lele Roveri (DiMondi)

In Piazza Lucio Dalla è tempo di HIP HOP GENERATION

Nel quartiere multietnico della Bolognina, in Piazza Lucio Dalla, grazie a DiMondi l’area sotto la tettoia Nervi è uno spazio vivo per tutta l’estate. Una rassegna con un cuore musicale dedicato alla world music e la vocazione civica di fare della piazza un punto fisso di incontro, socialità e legalità dove si può dare voce alla creatività di tutti.

In questo contesto ritorna per il terzo anno, ospite della rassegna in tettoia Nervi, il festival HIP HOP GENERATION 6 con due appuntamenti: sabato 27 settembre e domenica 4 ottobre.

«Per noi è una collaborazione fondamentale », spiega Roveri. «L’hip hop è una cultura trasversale e versatile, un trait d’union naturale tra generazioni e provenienze: parla la lingua della strada, dell’aggregazione, della pace e della sfida che migliora. Ed è perfetta per un quartiere popolare e multiculturale come questo».

«Ogni anno a DiMondi curiamo direttamente una cinquantina di serate» aggiunge Roveri, «a cui solitamente se ne aggiungono altrettante - quest’anno ne abbiamo avute addirittura 70 - provenienti da cittadini, associazioni e operatori culturali: la piazza funziona quando diventa piattaforma aperta». E non si tratta solo di musica: attorno al palco, skate e sport urbani, attività per famiglie, momenti di comunità rafforzano i legami. Questo spazio è abitato a tutte le ore.

Quali sono le caratteristiche di HIP HOP GENERATION 6 in programma in piazza Lucio Dalla il 27 settembre e il 4 ottobre? 

MR: La prima giornata, sabato 27 settembre, sarà una vera e propria kermesse di scuole di danza, in gran parte del territorio bolognese ma non solo: parteciperanno infatti anche associazioni provenienti da Modena, Schio e Ravenna. Con un focus specifico sulla danza Hip Hop, con particolare attenzione alle realtà della nostra città, l’obiettivo è continuare quel processo di connessione e rete che da anni porto avanti insieme a Vittoria Cappelli, ideatrice e produttrice di eventi culturali impegnata nella diffusione della danza tra le nuove generazioni. La seconda giornata, domenica 4 ottobre, sarà invece interamente dedicata a una battle, concentrata sullo stile Funky, ovvero le origini del movimento Hip Hop, e in particolare sul locking, stile sviluppatosi alla fine degli anni sessanta a Los Angeles. Questa sezione è stata ideata quattro anni fa da Cristiano Buzzi, in arte Poppin’Kris, uno dei più illustri rappresentanti del locking in Italia. Insieme a Carlos Kamizele, Buzzi dirige anche una delle più prestigiose accademie Hip Hop del Paese, la KC Artists, che ha sede proprio a Bologna.

È da tanti anni che ti occupi di Hip hop: come e perché ti sei appassionata a questa cultura?

MR: Mi occupo a tutto tondo di questa cultura da 32 anni, per la precisione. Me ne sono innamorata a Parigi, a 19 anni, quando studiavo danza classica e jazz al Paris Centre. Qui ho fatto amicizia con alcuni ballerini neri. La domenica pomeriggio andavo a ballare con loro al Bataclan: per entrare era rigorosamente necessario essere accompagnati da un nero. È stato lì che mi sono innamorata perdutamente di questa cultura: dei suoi ritmi, della sua energia, di quel grido di protesta che passava attraverso danza, musica e pittura. Ho avuto poi l’occasione di realizzare sette puntate dedicate al disagio giovanile per un programma che si chiamava Un mondo a colori , andato in onda su Rai 3 nel 2003, grazie all’entusiasmo di Giovanni Minoli che accolse con attenzione la proposta.

In una delle puntate del programma, dedicammo un focus alla scena bolognese, intercettando artisti come Inoki e DJ Shablo, o i Break The Funk di Ravenna, vincitori del Best Show al Battle of the Year 2004 con Poppin’Kris come coreografo. Da quell’esperienza è nato poi, sempre su Rai 3 e in seconda serata, Hip Hop Generation, realizzato con Vittoria Cappelli. Era il 2004, e abbiamo portato in tv il meglio della scena underground Hip Hop italiana. 

Hai visto nascere e crescere generazioni di ballerini e performer. Com’è cambiata la break durante questo periodo?

MR: La break dance ha iniziato a cambiare già nei primi anni Duemila, soprattutto in Francia, grazie a coreografi come Mourad Merzouki , in arte Kafig, che l’hanno contaminata con stili e pratiche diverse, dalle arti marziali ad altre discipline. È così che la break è passata dalla strada al palcoscenico, conquistando a pieno titolo l’attenzione del pubblico e della critica. Oggi non ci sono solo le battle, che restano comunque il cuore pulsante del movimento Hip Hop, ma anche spettacoli con una vera drammaturgia e contaminazioni con la danza classica e contemporanea, l’afro, il tip tap. In Italia, ad esempio, è nata la prima compagnia di afrodiscendenti, i Descendants, diretta da Carlos Kamizele: un gruppo che mescola danza afro, hip hop, break e house. Questi straordinari danzatori hanno debuttato al Festival Torinodanza e presto porteranno il loro lavoro anche al Teatro Rossini di Pesaro. Ecco com’è cambiata la scena: non solo la strada, ma sempre di più l’affermazione di un movimento artistico riconosciuto.

L’hip hop si delinea fin da subito come linguaggio universale di pace, aggregazione e resistenza. Come si riflette questo spirito nella rassegna che avete costruito?

MR: Lo spirito dell’hip hop, fatto di dialogo e confronto, si riflette nella nostra rassegna attraverso la necessità di mettere in relazione le tante associazioni del territorio. È un incontro, ma anche una sfida a colpi di danza: le scuole o crew si esibiranno senza gareggiare, per confrontarsi, osservandosi a vicenda e lasciando che sia il pubblico, con il suo applauso, a dimostrare il proprio apprezzamento.

Il 27 settembre sarà un grande evento corale che riunirà centinaia di giovani. Il 4 ottobre, invece, si tornerà alle origini, ricreando l’atmosfera degli anni ’70: un omaggio alla nascita del movimento, con ballerini provenienti da tutta Italia che si sfideranno in piazza, rigorosamente a terra e non sul palco. In questo senso, le due giornate diventano lo specchio di ieri e di oggi.

Negli anni ’70 l’hip hop nasce a New York come risposta creativa all’oppressione razziale, economica e sociale vissuta dalle comunità nere e latinoamericane. In che contesto invece si sviluppa in Italia e quali tratti lo distinguono dall’hip hop americano?

MR: In Italia il contesto è stato diverso rispetto a quello americano. Da noi le comunità nere hanno una storia più recente e il razzismo ha assunto tratti differenti. L’hip hop nel nostro Paese si è sviluppato soprattutto per imitazione, ma l’arte – che sia musica, danza o pittura – riesce ancora oggi a parlare direttamente al cuore dei ragazzi. Anche i giovani italiani hanno rivendicato la loro protesta attraverso questa cultura, pur con battaglie e condizioni diverse da quelle americane. Ogni paese ha la sua storia, e i giovani sono figli di quel contesto: lo stesso vale per i ragazzi immigrati. Anche se nati qui sono inevitabilmente permeati dalla cultura del Paese di origine delle loro famiglie. È una realtà complessa, e non sono una sociologa: posso solo raccontare ciò che ho colto in tanti anni da organizzatrice di eventi hip hop.

Se dovessi individuare i valori più forti che l’Hip Hop porta avanti in Italia, quali sceglieresti?

MR: Direi innanzitutto la denuncia sociale e la solidarietà. Ma in Italia riconosco anche una grande originalità ed espressività creativa che, soprattutto negli ultimi anni, può competere con quella francese e americana. La nostra è una scena vivace e dinamica, dove i giovani portano avanti sfide propositive e capaci di alimentare speranze per il Paese. 

Perché, secondo te, Bologna è diventata un punto di riferimento così importante per l’Hip Hop italiano?

MR: Bologna è prima di tutto una città universitaria, da sempre culturalmente vivace e multiculturale. È conosciuta in tutto il mondo e la sua posizione strategica, con la stazione come nodo centrale e un aeroporto sempre più collegato al resto d’Europa, l’ha resa naturalmente aperta agli scambi e alle contaminazioni. Ma ciò che la distingue è l’attenzione all’integrazione e al rispetto della diversità culturali: elementi fondamentali per la crescita di un movimento artistico come l’hip hop.
Qui non si può più parlare solo di “lotta per i diritti”, perché questa battaglia, portata avanti già decenni fa, è diventata oggi una pratica costante e strutturale. L’integrazione è un lavoro quotidiano che la città porta avanti da tempo, con risultati evidenti rispetto ad altri contesti. Certo, si può e si deve sempre migliorare, ma a Bologna questo impegno è tangibile.
Non a caso, il movimento hip hop qui ha trovato terreno fertile: è cresciuto in una città attenta ai temi sociali, all’accoglienza e alla valorizzazione delle periferie. Lo dimostrano anche le radici musicali di Bologna: da Claudio Lolli agli Skiantos, fino a Guccini e tanti altri, qui la musica è sempre stata anche arte della protesta. E per arte ne intendo l’utilizzo quale forma di denuncia e di riflessione. Inoltre, spazi come i centri sociali – penso al TPO – o molti locali cittadini sono stati pionieri nel dare visibilità e dignità a questa cultura.

Cos’è per te Bologna Estate?

MR: Bologna Estate per me è una vera e propria festa della città : un momento di condivisione e di aggregazione, in cui le persone cercano luoghi, contenuti e spettacoli capaci di animare le giornate e le serate. Tenere viva una città è fondamentale, sia per chi la abita che per chi la visita da turista. Evviva Bologna Estate, perché è un progetto che travalica i confini di Bologna stessa. In tutte le città dovrebbe esserci un’estate come quella bolognese.

Laura Bessega, per Bologna Estate