Scipione detto anche l’Africano
(Italia/1971) di Luigi Magni (114')
Sulla storia romana ho letto tanto, io facevo lettere all’università e mi sono sempre interessato alla storia, anche a quella contemporanea. C’è una frase di Marco Aurelio che mi piace molto: “Se non sai da dove vieni, non sai dove vai, ma non sai neanche dove sei”. Per questo in generale ritengo che conoscere la storia sia importante. Allo stesso tempo però in Scipione detto anche l’Africano ci siamo sbizzarriti con la ricostruzione di quella Roma tra scenografia e costumi. Lucia [Mirisola] ha inventato delle scenografie che si legavano bene ai ruderi archeologici. Infatti abbiamo girato pochissimo a Cinecittà, la gran parte del film l’abbiamo realizzata in varie zone tra Paestum, Pompei, la villa Adriana a Tivoli. Non volevamo fare la Roma di cartone, quella finta di tanti altri film, cercavamo una certa veridicità, tanto che a Pompei abbiamo ricostruito alcuni elementi architettonici e degli affreschi e i turisti gli facevano le foto scambiandoli per originali. Anche i costumi erano molto fantasiosi e colorati, quando di solito nei peplum classici si privilegiava, a torto, il bianco. Era un film anomalo non solo dal punto di vista estetico, ma anche tematico, perché l’idea alla base è quella innovativa dell’inchiesta giudiziaria ambientata nell’antica Roma. Mi sono preso diverse libertà e rischi, ma senza tradire mai la storia.
Oserei dire che questo è un film sessantottino, dati i tempi. Era come se questa storia sugli Scipioni fosse raccontata da due ragazzi fantasiosi sulla scalinata della facoltà di architettura. È venuto fuori un film che, pur non avendo riferimenti diretti al presente, aveva sotto traccia tutti i problemi che noi ci portavamo dietro, con una Repubblica un po’ affaticata [...]. I giochi di potere, la lotta di classe, in quel caso tra patrizi e plebei, sono elementi che ci appaiono familiari.
Luigi Magni
Mio fratello era un amico, soprattutto. E so che tra fratelli questo legame d’amicizia non è così facile. Aveva cinque anni meno di me, ma in realtà io lo vedevo come un fratello maggiore. Mi piaceva la sua solidità, almeno apparente – poi anche lui aveva delle fragilità. Era sempre preoccupato per il futuro. Era un uomo molto spiritoso. Di poche parole. Ma quando raccontava una cosa o faceva una critica e alludeva a qualcosa, soprattutto nel suo mestiere di montatore, le sue battute – si sa – erano fulminanti: proprio di umorismo vero, autentico. Una volta facemmo anche un film assieme. Il regista Gigi Magni lo volle a tutti i costi. Il film si chiamava Scipione detto anche l’Africano. E lui era Scipione detto l’Asiatico: un politicante ladrone. Del resto, son passati duemila anni, ma sempre lì stiamo. [...] Quando Scipione detto anche l’Africano uscì, mia madre andò a vederlo. E mi disse: “Be’ Marcello, sì, tu sei bravo come sempre. Però il roscetto (sarebbe mio fratello Ruggero, che era rosso di capelli) – il roscetto è meglio di te!”.
Marcello Mastroianni