21 agosto 2019, 21:30
@ Arena Puccini

Il Signor Diavolo

(Italia/2019) di Pupi Avati (86')

Incontro con Antonio e Pupi Avati

Incontro con Antonio e Pupi Avati

Il ritratto di un profondo nord est intriso tanto di religione quanto di superstizione e in cui i confini tra vita e mistero si spostano come l'orizzonte nelle paludi.'

"'Una storia che meritava di essere raccontata, mi appartiene profondamente: chierichetto professionale nella chiesa di San Giuseppe in Emilia, conobbi un cattolicesimo molto superstizioso, ed ecco questa favola contadina, con l'atavica paura del buio'. Parola di Pupi Avati, che dopo una parentesi televisiva torna al cinema con Il Signor Diavolo. (...) A cinquantun anni dall'esordio con Balsamus, Avati torna all'horror, ovvero al genere: 'I nostri autori ombelicali rifiutano il genere, ma il nostro cinema è stato fortissimo finché non l'ha disatteso, e penso alla sfrontatezza di Sergio Leone che da Trastevere si è inventato il western. Questo copione è stato rifiutato da sei distribuzioni, che non considerano più il genere: solo commedie, per di più con la panchina corta, una squadra ristretta. Frequentare generi non è disdicevole, questo film è una forma di provocazione'. Il Signor Diavolo è ambientato nell'autunno del 1952 nel Nord Est, dove è in corso l'istruttoria di un processo sull'omicidio di un adolescente, a furor di popolo, indemoniato. (...) Horror gotico? 'Non è solo 'de paura', l'horror gotico, ma suppone e prevede una sacralità: nel mio immaginario c'era una dilatazione del sacro, quella figura che è il sacerdote preconciliare, che dal pulpito poggiava gli occhi su di me. Credo che la mia piccola creatività sia nata da questa paura', confessa Avati, che ribadisce 'il patto con lo spettatore: questo genere deve spaventarti'. Complici logistica - 'Una parte di Emilia che non si è modernizzata, le Valli di Comacchio, dove si esce dal tempo" - e cast & crew - 'Ho voluto richiamare Capolicchio, Cavina, Haber, Bonetti, nonché ritrovare Sergio Stivaletti agli effetti e Amedeo Tommasi alle musiche', Avati ha voluto 'richiamare con pochi fotogrammi la nostra identità esplicita:Il Signor Diavolo è un film di identità'. Al centro, ovviamente, c'è il male: 'Il diavolo è sinonimo di male, abbiamo fatto conquiste in tutti i campi ma lì ci siamo distratti. Il male sopravvive in modo efficace ed efficiente, io stesso se mi guardo allo specchio sono portatore di male, per esempio, mi sono trovato a godere di chi è scivolato. Poi, c'è il male per il male, fatto gratuitamente: di recente, l'ho subito, il disturbo mentale nelle mani di chi può nuocerti è diabolico. Il diavolo è ovunque in chiunque, una considerazione molto attuale quella del film'".

Federico Pontiggia, "Il Cinematografo"

In collaborazione con 01 Distribution